
Il senso del Sacrificio di Cristo sulla Croce
intervento al Convegno CRISTIANITA', ECONOMIA, ECOLOGIA, SPIRITUALITA' E GIUSTIZIA SOCIALE - RIFLESSIONI SULLA PASSIONE DI GESU' CRISTO"
GIOVEDI' 26 MAGGIO 2016 - Senato della Repubblica - Sala dell'Istituto di Santa Maria in Aquiro
Scriveva Chesterton: «Se Gesù di Nazareth non fosse stato davvero il Cristo, avrebbe dovuto essere l’Anticristo»[1]. Il cuore di ogni cosa per il Cristianesimo è la divinità del Figlio. In questo la riconduzione del monoteismo entro il sistema mistico-etico, di origine orientale, è semplicemente impossibile. Per il primo esiste Dio; e Questi crea il mondo, si rivela, libera l’uomo. Per la mistica esiste un principio impersonale, una degenerazione, una ascesi di auto-illuminazione, corrispondente ad un risveglio, sulla scia di grandi iniziati. E il Cristianesimo, tra le religioni monoteiste, è ancora più esclusivo: pretende che Dio si incarna e salva il mondo attraverso il sacrificio sulla Croce. Socci, ricordando le incursioni musulmane nell’Italia meridionale del XV secolo, ricorda quanti cristiani si fecero ammazzare pur di non convertirsi all’islam, professando invece la divinità di Cristo e non solo il suo essere un buon profeta. E conclude amaramente con il paradosso che «una cospicua parte di esegeti e studiosi delle origini cristiane (ma anche certi teologi, cioè coloro che nella Chiesa avrebbero la missione di difendere la fede cattolica), nei loro scritti e “insegnamenti”, hanno tanto “ridotto” e obliterato la divinità di Gesù che, di fatto, senza accorgersene, convengono con l’islam, il quale rifiuta Gesù come Dio e lo venera come profeta, grande, ma pur sempre e solo un uomo»[2]. Il punto, invece, è proprio la divinità di Gesù di Nazareth: questa pretesa costringe alle due alternative su cui autori come Tolkjen o Chesterton avevano a lungo meditato: o un megalomane psicopatico, oppure davvero il Figlio di Dio. Non di certo l’amico della primavera, lo zelota antiromano, il predicatore buono, lo psichiatra della Giudea, il Gandhi palestinese, il Che Guevara ebreo, ecc.
Ecco perché questo punto centrale pone il Cristianesimo in una posizione assurda per qualsiasi altra religione, persino oltre l’ebraismo, la radice antica, confermata e portata a compimento, come dice Gesù, rispetto a Legge e Profeti. La pretesa del Nazareno è ancora umanamente «peggiore», null’affatto mitica, della pretesa già «scomoda» dell’ebraismo. Da popolo eletto, esclusivamente, rispetto a tutti gli altri, da popolo prescelto per sempre, primogenito in tutta l’umanità, proprietà stessa di Dio – di un Dio che non è solo il Dio di una terra, il Dio d’Israele, ma il Dio di tutti perché unico, in senso assoluto, ad esistere – si passa ad un uomo, un singolo ebreo che sostiene di possedere una gloria ancor prima della fondazione del mondo, che È prima che Abramo fosse, che perdona, come Dio, i peccati prima ancora di compiere miracoli, che è il Verbo che era in principio, rivolto eternamente al Padre, e Dio stesso, che allo stesso tempo nasce in una mangiatoia, a dodici anni dopo un rocambolesco ritorno a Gerusalemme di una coppia di ebrei, che già ne avevano avute per loro (una Donna non sposata rimasta incita per opera dello Spirito Santo e un uomo che sposa la sua amata, perché glielo dice un angelo, ma non è il padre del bimbo), dice alla Madre che deve fare le opere del Padre suo, che sceglie dodici uomini – tutti maschi per decisione sua e non contestualizzabile nel relativismo culturale del tempo, visto che contro tale cultura del tempo aveva ribaltato ben più di una aspettativa – e chiama questi a seguirlo in modo speciale, ma si rivela dopo la resurrezione ad una donna e le dice di testimoniare quanto visto ai discepoli impauriti, (considerando che la testimonianza di una donna in Israele era nulla), benedice quello che sarà il primo Papa perché la sua professione di fede viene da Dio e non dalla carne, per poi dargli del Satana perché ostacolo alla volontà dello stesso Dio, amandolo anche quando lo tradisce e disposto a morire di nuovo in croce a Roma sotto Nerone, perché anche quella volta il capo della comunità cristiana di Roma stava fuggendo a quel destino che pure, alla fine di tutto, il maestro gli aveva preannunciato, accennando a corde e legacci.
Questa è la vera contraddizione tipicamente cristiana, cioè comprensibile – in quanto contraddizione – da parte della ragione. L’unica vera cosa che la ragione comprende è che questo Gesù non pone alternative: o è un megalomane psicopatico o è davvero il Figlio di Dio, evidenza di fronte alla quale un centurione romano, lui pure, è costretto a cedere.
Il mio intervento vi chiederà la pazienza di prestare attenzione ad alcune riflessioni di natura filosofica e teologica. Di fronte all’Uomo della Sindone, la nostra domanda non è se sia Cristo, ma perché Cristo abbia sofferto, nel modo raccontato dalla Sindone.
La questione madre, da cui voglio partire è «il problema del male».
Come avviene, in senso assoluto, per le visioni circa l’uomo e circa Dio, anche per il male, sostanzialmente esistono due grandi visioni programmatiche, due interpretazioni generali. La prima fa riferimento alla dottrina gnostica: si tratta di una antica visione di salvezza, una dottrina filosofica, politica, teologica, basata sulla reinterpretazione del racconto biblico, della figura del Creatore, della figura del serpente, della figura del peccato, quindi della legge naturale e della legge divina. Secondo tale dottrina il Creatore è malvagio, ha creato una prigione cosmica, gli uomini sono spiriti nati in catene, imprigionati nell’anima e nel corpo, incoscienti del loro stato di schiavitù. Il diavolo è il vero liberatore, il portatore di luce; il peccato è atto di liberazione, la sovversione è lo strumento di rivendicazione umana alla libertà. La legge naturale, l’identità sessuale secondo il genere maschio e femmina sono imposizioni divine di schiavitù. L’uomo deve rendersi capace di un processo di auto-plasmazione della propria essenza, deve rivendicare contro Dio, la sua divinità, deve auto-elevarsi alla dimensione spirituale. Deve farsi come Dio. Deve in fondo fare sua la decisione dell’angelo ribelle: non serviam!
Questa dottrina, pur con alcune differenze di cui ora non vi parlerò, è sufficientemente simile alle religioni orientali: il mondo è illusione, il fine ultimo dell’uomo è l’auto-elevazione spirituale fino al Nirvana. Il Buddha insegna che questo mondo è il prodotto del non-dominio del desiderio, che ogni uomo è Buddha di se stesso, che lo scopo ultimo della vita è convincersi della non-sussistenza, non-realtà delle cose. Questa visione metafisica è quanto di più antitetico alla metafisica greca e alla filosofia cattolica, che raggiunge il suo culmine in san Tommaso d’Aquino: la visione metafisica aristotelico-tomista si basa infatti sul realismo. La realtà è un insieme ordinato di enti, di sostanze dotate di materia e forma. Dio non è un ente primo tra enti inferiori (come crederà erroneamente Heidegger): gli enti hanno l’essere per partecipazione, Dio è Ipsum Esse Subsistens; in Dio essere ed essenza coincidono; Dio sussiste in sé e non solo – come dirà invece Lutero – in vista e in funzione dell’uomo. La Gnosi antica non negherà la sussistenza delle cose, ma dirà che il mondo esiste per errore, esso è una prigione da cui liberarsi attraverso la conoscenza redentiva (appunto gnosi): lo scopo ultimo dell’uomo è prendere coscienza della propria essenza divina, che lo pone ad un grado superiore rispetto a quello dello stesso Creatore del mondo (che viene identificato con il Dio dell’Antico Testamento).
Dalla gnosi antica dipende poi la riformulazione dell’Umanesimo italiano, all’inizio dell’età moderna: in virtù della tradizione mistica della Cabala – che modifica il concetto di creazione ad extra, in un processo intra-divino di auto-alienazione (o auto-contrazione) ed emanazione – e in virtù di letture eterodosse di Gioacchino da Fiore e dell’idea di terza età spirituale, si rinuncia alla visione negativa della materia a vantaggio del panteismo (il mondo è divino), si trasposta la questione della schiavitù al tempo passato o presente, si inserisce il processo umano di auto-divinizzazione dentro la storia, si prospetta un nuovo ordine mondiale. Questa matrice sta alla base della massoneria (la cui antropologia è assolutamente gnostica e anti-cristiana) e di tutte le rivoluzioni moderne, fino alla rivoluzione sessuale del 1968, all’ideologia gender, all’ideologia ecologista.
Si oppone a questa dottrina la visione cattolica, che distingue tre tipi di male: il male detto ontologico, cioè della realtà in quanto esistente. Ogni cosa che esiste, solo perché esiste, è in se stessa perfetta e buona. Non tutte le cose sono buone allo stesso modo, l’una rispetto alle altre: la giraffa è più della pietra, perché un essere vivente. La pietra è perfetta in sé, ma non partecipa all’essere nello stesso grado della pianta o dell’animale. L’ordine delle sostanze, degli enti che esistono è gerarchico. Apice di questa gerarchia è l’uomo. Significa che il cattolico si oppone a qualsiasi ideologia ecologista che riduce l’uomo a parte della «pianeta vivente». Un feto appena concepito è infinitamente più importante di tutte le piante e gli animali messi insieme. Come ora vedremo, un singolo feto – che oggi si può uccidere per uno pseudo-diritto – vale da solo il sangue di Cristo sulla Croce.
Diverso dal male ontologico, la tradizione cattolica specifica il male fisico e il male morale. Il male fisico è il dolore e la morte. Che cosa significa? L’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Cosa significa a immagine e somiglianza? L’uomo è stato creato in una condizione di Grazia, cioè nella integrità di tutte le sue facoltà, nel naturale dominio degli istinti, nella condizione di dialogo con Dio, di libero arbitrio. In questa condizione la donna partoriva, ma senza dolore, l’uomo lavorava, ma senza fatica. Esisteva la famiglia e si viveva in una comunità politica. Gli uomini non conoscevano la morte. Tuttavia, l’uomo non era nel Paradiso celeste: lo avrebbe dovuto conquistare per merito. In questo percorso, avrebbe ricevuto rivelazioni, compiendo nel tempo la scelta libera di amare Dio, senza conoscere la morte.
Ma l’uomo ha rifiutato questo. Ha preteso di auto-deificarsi contro Dio, ha aderito alla istigazione satanica. Questo peccato originale ha comportato la punizione divina, la perdita di questa condizione di Grazia, quindi il dolore e la morte, il disordine interiore, l’indebolimento del libero arbitrio. E, in più, l’impossibilità di accedere al Paradiso celeste. Anche un terzo delle schiere angeliche compie questo simile peccato. Con una differenza, però. L’angelo è puro spirito: significa che non esiste una «specie» angelica, ogni angelo risponde per sé; significa che l’angelo non vive nella dimensione temporale, quindi la sua scelta (con Dio o contro Dio) è eterna e irreversibile. L’uomo invece è «spirito incarnato»: esiste una specie umana, il peccato originale compromette tutti gli uomini, in Adamo tutti noi abbiamo peccato, il più innocente di noi, il bambino appena nato, ha comunque il peccato originale. L’uomo conosce la dimensione temporale, una nascita e ora, dopo la caduta, una morte La sua scelta non è ab aeterno: lo sarà il giorno della morte, nello stesso istante in cui l’anima si separa dal corpo, fissando per sempre la volontà o verso Dio o contro Dio. Da questo aspetto deriva l’insistenza cattolica – di vera misericordia – di augurare una buona morte, cioè una morte in stato di Grazia, dal momento che una morte in stato di peccato mortale, senza pentimento – fosse anche un solo peccato – comporterebbe necessariamente l’inferno.
La Grazia, però, deriva solo da Dio. E deriva per un’opera libera di Misericordia divina: senza questa opera di misericordia e sacrificio divino, qualsiasi sforzo umano, qualsiasi religiosità, qualsiasi spiritualità, sarebbero inutili. Dio ha amato per primo l’uomo, quando lui era peccatore. Dio, per Misericordia, sceglie di redimere l’uomo, strapparlo alla proprietà satanica, dargli di nuovo la possibilità del Paradiso. Come fa?
Capire questo, determina la risposta alla nostra domanda inziale: perché Cristo si è incarnato ed è morto in Croce?
La Giustizia divina esige che il peccato sia «riparato», sia «soddisfatto». Non si può far finta di nulla. Satana rivendica un potere e una proprietà. Quale prezzo per il riscatto dell’uomo? Un prezzo deve essere pagato, ma Dio non può distruggere l’ordine morale del mondo, non può scegliere di distruggere le opere di satana, principe di questo mondo, attraverso una onnipotenza di dominio. Sceglie l’onnipotenza della Misericordia. Eppure nessuna vittima è adatta per redimere il male. Nessun sacrificio può essere sufficiente. Nessuna opera della Legge di Mosè può garantire la salvezza. La Legge si limita a indicare il peccato e la via. Ma di per sé non ha potere di salvare.
Così, Dio fa una scelta umanamente incredibile. La seconda persona della Trinità, il Figlio, si Incarna. Perché si incarna? Per morire come vittima sacrificale. Muore sulla Croce, e agli occhi dei pagani e degli ebrei, come un infame e un maledetto, pur senza peccato, pur essendo Lui vero Uomo e vero Dio. Perché deve morire? Perché la Giustizia divina esige che il peccato degli uomini sia soddisfatto. Come viene soddisfatto? Attraverso il sacrificio espiatorio della Croce. Fino a quanto doveva soffrire Cristo? Una sola goccia del suo sangue, essendo Egli Dio, era sufficiente per redimere e riscattare il mondo intero. Allora perché perde tutto il suo sangue? Per amore infinito.
Ha creato un universo immenso per amore della bellezza; ha creato l’uomo per amore in modo sublime. In modo ancora più sublime lo ha redento. Il Sacrificio è unico: una sola Incarnazione, una sola Passione, una sola Resurrezione, un solo Battesimo, una sola e santa Chiesa Romana cattolica apostolica. Cristo è l’eterno sacerdote, vittima e altare. Eppure per Sua volontà, Cristo stesso istituisce e fonda la Chiesa in Pietro e nei suoi successori, affidando loro il potere vicario di battezzare, ammaestrare e conservare il deposito della vera fede, senza togliere o aggiungere un solo iota. E comanda che su ogni altare, venga rievocato, rinnovato il Suo stesso sacrificio, rinnovato, seppur in modo non cruento. L’altare non è la mensa della festa! È l’altare del sacrificio! Cristo è realmente presente. Si ripresenta al Padre come dal Golgota. Infatti, Padre Pio ammoniva che l’atteggiamento più opportuno e consono per il fedele, durante la Santa Messa, fosse quello di Maria, ai piedi della Croce! E il battezzato può compartecipare a questo sacrificio, attraverso il suo stesso dolore: può unire le proprie sofferenze a quelle di Cristo in Croce.
L’uomo quindi è già salvo? Con la Rivelazione Cristo ha, forse, reso l’uomo divino? Si è unito a lui, senza che l’uomo lo sappia? Ha fatto in modo che ognuno, con la propria spiritualità, raggiunga oggettivamente Dio? Certamente no!
La Tradizione cattolica sostiene – per logica e coerenza, e perché Cristo stesso ha detto così – che solo Cristo è la via. Le altre religioni sono false. Chi si salverà non si salverà attraverso la propria religione, si salverà nonostante la propria religione, per mezzo della Passione del Figlio di Dio. Data la Passione e la Resurrezione, chi si salverà? Chi morirà in stato di Grazia e non in uno stato di peccato mortale. Data la Passione e la Resurrezione, dato il Sacrificio espiatorio di Cristo, è annullata la Giustizia divina? No. Ognuno verrà giudicato da Cristo giudice.
Cosa c’è dopo la morte? L’inferno o il Paradiso. Perché l’uomo può conquistare il Paradiso? Per mezzo della Croce. Come in effetti vi accede? Per mezzo del Giudizio. Cosa resta in questa in vita? Le opere per meritarlo e i Sacramenti che la Chiesa di Roma elargisce, in nome del Re.
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[1] G.K. Chesterton, Ortodossia, trad.it. R. Asni, Lindau, Torino 2010, p. 128.
[2] A. Socci, La guerra contro Gesù, Rizzoli, Milano 2011, p. 34.