
Le antiche origini del moderno mercato della salute riproduttiva
«I wish again to emphasise the fact that the improvement of the natural gifts of future generations of the human race is largely under our control»[1].
I mezzi con i quali Galton proponeva di raggiungere l’improvement cui alludeva – oggi si preferisce enhancement o potenziamento – hanno dato origine a due accezioni apparentemente opposte dell’eugenetica (intesa come insieme di pratiche che prefiggono lo scopo di sviluppare le qualità innate di una razza, giovandosi delle leggi dell’ereditarietà):
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l’eugenetica positiva: ossia la selezione dei soggetti adatti alla riproduzione per le loro qualità e
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l’eugenetica negativa: ossia fare in modo che i portatori di caratteri disgenici (cioè di caratteri ereditari che, in un determinato ambiente, risultano sfavorevoli all’organismo), non giungano alla riproduzione.
Galton si espresse a favore di un’eugenetica prevalentemente positiva, finalizzata alla creazione di una élite biologica attraverso l’unione di individui “superiori”, anche se – negli ultimi anni di vita – arrivò a proporre misure di eugenetica negativa, come segregare i malati mentali, o sterilizzare le persone affette da disagio mentale al fine di non permettere loro di procreare.
Tali idee si svilupparono, e si diffusero sempre di più, sia grazie alla costituzione di diverse società di eugenetica – la prima venne fondata dallo stesso Galton – nonché alla nascita di diverse riviste divulgative che si proponevano di diffondere la pratica e la mentalità eugenetiche.
L’iniziale impostazione di Galton, il suo metodo e i suoi obiettivi, erano destinati a ridimensionarsi. Ma non l’eugenetica che, anzi, agli albori del nuovo secolo si diffuse in molti Paesi come nuovo credo e nuova dottrina, assumendo forme diverse a seconda dei contesti sociali e culturali entro i quali venne pensata. Essa si posizionò all’intersezione di svariate discipline, dalla genetica alla medicina, alla sociologia, e fu sempre caratterizzata da una spiccata volontà d’azione e da una forte connotazione politica[2].
Si pensi, infatti, all’applicazione che il nazionalsocialismo tedesco fece delle idee di Galton e dei suoi seguaci: preservare la “purezza ariana” evitando le “contaminazioni” con razze giudicate inferiori, mediante programmi di«rigenerazione» tramite la sistematica eliminazione delle vite non degne di essere vissute, fino alla “soluzione finale” verso gli Ebrei.
Va sottolineato che, prima e dopo il nazismo, numerose società, da quelle anglosassoni a quelle scandinave, imposero la sterilizzazione dei “difettosi” – generalmente individui con ritardo mentale, ma anche delinquenti o prostitute – attraverso programmi di igiene pubblica, allo scopo di “preservare” la società dai mali che essi avrebbero propagato trasmettendoli alla loro progenie. Così accadde anche in Svizzera, dove la legge approvata nel 1928 fu abrogata soltanto nel 1970; in Giappone, in cui la legge sull’obbligatorietà della sterilizzazione è rimasta in vigore fino al 1996[3]. E poi in Cina, dove dal 1995 è fatto obbligo alle coppie di sottoporsi a test genetici prematrimoniali che, laddove risultassero positivi, impedirebbero il contrarsi del coniugio[4]. Insomma: l’eugenetica di Stato continuò ben oltre il nazismo: la California sterilizzò almeno 20mila persone, per lo più dopo il 1945[5], mentre nel North Carolina si continuò fino agli anni ’70.
Anche negli USA, a partire dal 1928, nacquero cattedre di eugenetica nelle prestigiose università di Yale, Stanford e Harvard[6]. E proprio le grandi multinazionali ed i maggiori capitani d’industria statunitensi non fecero mancare il loro sostegno ai programmi di sterilizzazione: Carnegie, Rockefeller, Ford, perfino i fondatori della Procter & Gamble e dei cereali Kelloggs.
Pratiche del tutto simili erano seguite in Finlandia e Danimarca, il che spiega, anche per l’area scandinava, la costante priorità accordata alle tematiche connesse con la cd. salute riproduttiva. Proprio in Svezia è recentemente emerso che i provvedimenti eugenetici (per lo più obbligatori e decisi dalle autorità statali) continuarono fino al 1975 interessando circa 63mila persone:
ben 62.888 svedesi sottoposti a programmi di sterilizzazione, in larga parte non volontaria e imposta dallo Stato, tra cui migliaia di donne obbligate da una legge del 1941 alla sterilizzazione forzata e imposta dallo Stato, per avere richiesto e ottenuto aborti con indicazioni eugenetiche (tare ereditarie). A questa massa di vittime, vanno poi aggiunti 300 uomini e una decina di donne sottoposti in Svezia a castrazione decisa dallo Stato tra il 1941 e il 1960. A questo desolante panorama di sofferenza e mutilazione sessuale, va poi aggiunto un numero imprecisato di donne sottoposte ad aborto di Stato, imposto, perché “incapaci di intendere e di volere” su cui mancano – non casualmente-statistiche ufficiali.[7]
Gli studi che conferivano legittimità scientifica a tali pratiche valsero due distinti premi Nobel alla coppia Alva e Gunnar Myrdal (marito e moglie), nel cui lavoro si fondevano socialdemocrazia nordica, purezza della razza, motivi economici e pseudoscienza.
Di conseguenza si può dire che i nazisti non inventarono nulla, anzi altro non fecero che applicare quanto già attuato nelle nazioni più civili dell’epoca, tant’è che ciò:
spinse la corte degli Alleati che giudicò i gerarchi nazisti nel processo di Norimberga nel 1945, a non contestare loro quale«crimine contro l’umanità» la campagna di sterilizzazione forzata attuata in Germania a partire dal 1938. Gli avvocati difensori dei nazisti ebbero infatti buon gioco nel dimostrare che la legge nazista del 1933 era stata direttamente ispirata dal rapporto degli scienziati americani Gosney e Popenoe e dalla conseguente legge dello Stato della California (sempre ispirata al Welfare) ed era tuttora praticata in Svezia, Danimarca e Finlandia (in seguito, la Corte Suprema degli Usa dichiarò anticostituzionali i programmi eugenetici della California e di altri Stati). Non in Inghilterra però, perché nonostante fosse appoggiata da prestigiosi intellettuali laburisti legati alla Fabian Society, nel 1934 il Parlamento inglese aveva bocciato una legislazione simile.[8]
Da tali antefatti si è oggi giunti ad un’applicazione del tutto particolare dell’eugenetica, sempre legittimata dalla sostanziale derivazione scientifica: la mappatura cromosomica e la possibilità di individuare precocemente – già nella vita prenatale – malattie a carattere genetico, o persino predisposizioni a contrarre le stesse nella vita adulta.
Ottimismo positivista, regimi totalitari, organizzazioni statuali liberal-democratiche, hanno fatto sì che l’eugenetica arrivasse fino a giorni nostri. Scrive Lucia Galvagni, commentando Hans Jonas: «Le forme che l’eugenetica ha assunto ricalcano una triplice distinzione»[9]. Il controllo protettivo ha i tratti di un’eugenetica preventiva, intesa come una politica della riproduzione tesa a prevenire la trasmissione di geni patogeni o comunque nocivi, impedendo la procreazione ai loro portatori. «Questo tipo di arte genetica», scrive Galvagni, «è assimilabile all’attuale medicina preventiva»[10]. Si pensi al counselling genetico, mediante il quale alla coppia si forniscono le probabilità della nascita di un figlio affetto dalla loro stessa malattia, oppure alla diagnosi prenatale. Se nel primo caso il consiglio è volto a evitare il concepimento di un figlio malato o portatore di una determinata malattia genetica, nel secondo si pone persino la possibilità di abortire il feto malato o supposto tale. «La selezione prenatale [...] rappresenta, quindi, una seconda forma dell’eugenetica e denota già un passaggio dal piano preventivo a quello migliorativo»: si dischiude la possibilità di distinguere e selezionare – e questa sarebbe eugenetica negativa – gli individui sani da quelli malati. Vi è infine la vera e propria eugenetica positiva, come selezione umana pianificata, «dato che il suo intento è quello di migliorare la qualità della specie e di renderla più perfetta di quanto la natura non l’abbia fatta»[11].
È importante, però, sottolineare che fino alla cosiddetta «genetica liberale»[12] i poli entro cui si muoveva la “scelta del più adatto” erano Stato-specie (o razza o categoria sociale): ossia lo Stato, mediante eugenisti e scienziati, in nome del benessere della collettività attuava programmi medico-sociali massificati rivolti a una determinata categoria di individui ritenuti “dannosi”. Al contrario, la prassi eugenetica liberale si basa sul binomio individuo-individuo, nel contesto di una diffusione sistematica della diagnosi prenatale e dell’applicazione delle tecniche di ingegneria genetica[13]. Altrimenti detto, mentre la vecchia genetica autoritaria cercava di modellare i cittadini basandosi su un modello unico determinato centralmente, portando come conseguenza una restrizione della libertà riproduttiva, la nuova genetica liberale, caratterizzata dalla neutralità dello Stato, estende radicalmente tale libertà, ed è il singolo a decidere quali fattori genetici siano vantaggiosi o meno[14]. Cambia la “scenografia”, ma il “copione” resta lo stesso.
Non è difficile individuare i mantra dei quali si nutre il fantascientifico mercato della salute riproduttiva, mantra che discendono in via diretta da quel pensiero oggi – almeno apparentemente – così biasimato. Ne elenchiamo solo alcuni:
· il controllo delle nascite;
· la selezione dei nascituri, svolta nell’ottica di un’auspicabile eliminazione di coloro che non rispecchiano determinati standard di salute. Ieri poteva trattarsi di coloro che venivano considerati «idioti», oggi potrebbe trattarsi di un nascituro affetto da sindrome di Down;
· la segregazione o l’eliminazione fisica di coloro che – seppur già nati – vengono ritenuti un peso per la società in quanto improduttivi (l’anziano, il malato terminale, il disabile, la persona affetta da problemi mentali);
· il controllo della quantità della popolazione, che deve mantenersi entro parametri determinati, pena la catastrofe demografica, sempre incombente;
· il convincimento che l’accrescimento della popolazione, se lasciato in balia delle sole dinamiche naturali, non possa che condurre alla carestia e alla miseria;
· l’assimilazione dell’essere umano ad un (sofisticatissimo) animale, il quale può essere studiato, e dunque compreso e «pilotato», con modalità identiche a quelle che vengono riservate ad altre forme di vita animale;
· l’ingegneria sociale, ossia il convincimento che sia possibile, attraverso le conoscenze e gli strumenti che la scienza fornisce, creare (o, per lo meno, tendere verso) una società umana che viva di regole perfettamente scientifiche;
· l’idea che la società sia composta da masse di persone inaffidabili, le quali devono essere dirette da una più o meno ampia élite di illuminati (meglio se dotati di cospicui mezzi economici, ancor meglio se miliardari), i quali detengono le chiavi per una corretta gestione del reale su scala planetaria. Su tutto e tutti domina la figura dello«scienziato» (sia esso un genetista, un biologo o altro) vero e proprio sommo sacerdote laico, detentore della verità scritta nelle leggi naturali, che sempre scruta e di cui sempre va in cerca. Oggi allo «scienziato» potrebbe affiancarsi il «tecnocrate» (ad esempio “l’economista”) il cui prestigio e la cui credibilità sono maggiori se presta la propria opera presso qualche Organizzazione internazionale (l’Onu, la Ue).
[1]«Desidero sottolineare quanto segue: il miglioramento delle doti naturali delle future generazioni di essere umani è ormai in buona parte sotto il nostro controllo» F. Galton, Hereditary Genius, MacMillan, London, 1892, p. 24.
[2] Cfr. G. Widmann, Origini e breve storia dell’eugenetica, in «Humanitas», 4/2004, p. 662.
[3] Cfr. A. Morresi, L’eugenetica giapponese sconfitta dall’insorgenza degli handicappati, in «Il Foglio», 11/3/2005.
[4] Cfr. G. Ferrara, Le quote rosa mancanti, in «Il Foglio», editoriale, 30/11/2005.
[5] Così l’America dell’eugenetica sterilizzava per il bene sociale, «Il Foglio», 13.12.2011, «Le leggi imponevano la sterilizzazione alle persone “socialmente inadeguate”: malati di mente, “promiscui”, albini, alcolizzati, talassemici, epilettici, immigrati come irlandesi e italiani, afroamericani e messicani». http://www.ilfoglio.it/articoli/v/106467/rubriche/cos-lamerica-delleugenetica-sterilizzava-per-il-bene-sociale.htm visitato il 20.12.2015
[6] Così l’America dell’eugenetica sterilizzava per il bene sociale, «Il Foglio», cit.
[7] PANELLA C. La tradizione eugenetica della sinistra: dall'ingegneria sociale all'ingegneria biologica, «Il Foglio» 20.2.2008. La trascrizione dell’intero articolo è consultabile qui: http://www.carlopanella.it/web/dett-art.asp?ID=53 (visitato il 6.8.2015). L’articolo è un sunto del seguente testo: DOTTI L., L’utopia genetica del welfare state svedese 1934-1975, Rubbettino, 2004.
[8] PANELLA C. La tradizione eugenetica della sinistra: dall'ingegneria sociale all'ingegneria biologica, «Il Foglio», cit.
[9] L. Galvagni, L’eugenetica: la prospettiva etica di H. Jonas, in «Humanitas», 4/2004, p. 710; Cfr. H. Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna, 1991; Id, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, Einaudi, Torino, 1997.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Cfr. J. Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino, 2004.
[13] Cfr. R. Mordacci, La sfida dell’eugenetica nell’orizzonte della biopolitica, in «Humanitas», 4/2004, pp. 718-722.
[14] Cfr. N. Agar, Liberal Eugenics, in H. Khuse, P. Singer (a cura di), Bioethics, Blackwell, London, 2000, p. 17.