Della guerra (parte prima)
La seconda guerra mondiale è lo scontro militare più difficile da interpretare sul piano politico ed economico. A conti fatti ho sempre riconosciuto a Stalin il ruolo del più grande stratega. Aveva capito nella guerra civile spagnola che conveniva far durare quella guerra il più a lungo possibile: comunisti e repubblicani democratici (senza contare anarchici, massoni e anticlericali della peggior specie) combattevano contro monarchici, cattolici, ma soprattutto fascisti, sia italiani sia tedeschi. In questa strategia, accettava che anche i nazisti - in modo simmetrico - attirassero sempre più dalla propria parte Mussolini: chi, fino a quel momento, aveva sognato l’illusione della politica del passo doppio, la mediazione tra democrazie occidentali (molto miopi quanto ostili durante la guerra in Etiopia) e Germania. Non solo. Stalin per una ragione sconosciuta agli storici aggredisce la Polonia qualche giorno dopo il 1 settembre 1939, ma non riceve la dichiarazione di guerra da parte di Inghilterra e Francia, che invece iniziano la guerra contro Hitler. Questa aggressione era prevista dagli accordi tra comunisti e nazisti stipulati nell’agosto del 1939 e consente a Stalin di recuperare moltissimi territori ceduti alla fine della prima guerra mondiale da Lenin. Tra il 1944 e il 1945 occupa estesi territori nell’Europa dell’est, giunge per primo a Berlino, rifiuta dopo Yalta gli aiuti economici degli americani, imponendo la linea a tutti i paesi sotto controllo sovietico, determina una condizione che persino dopo la sua morte, assicurerà al governo comunista e minoritario dell’Ungheria, la conservazione dello status quo: nel 1956, l’Ungheria si ribella alla dittatura sovietica e chiede aiuto agli americani. Gli USA non intervengono, lasciando presagire che la guerra fredda, almeno in Europa è in qualche modo finita: i due sistemi non si contenderanno più territori nel vecchio continente. Per cronaca, l’Ungheria ha avuto la grandiosa forza di vincere libere elezioni, negare l’aborto, rifarsi nella Costituzione al santo re Stefano, condannare come decenni bui non il medioevo, come facciamo noi – senza conoscere nulla di quel periodo –, ma i decenni della dittatura comunista. È proprio il caso di dirlo: anch’io sono ungherese!!
Tornado alla guerra mondiale, grazie anche alla strategia di Stalin, commista con la retorica americana della missione di esportare e difendere la libertà, l’interpretazione classica della guerra è appunto quella militare, che vede da una parte i fascismi e dall’altra il resto del mondo.
Se poi contestualizziamo la questione all’Italia, la Repubblica è nata dalla alleanza programmatica di tutti i partiti anti-fascisti, cristiano-democratici, comunisti, liberali e socialisti.
È facile quindi valutare sul piano politico, Democrazia ed Assolutismo come due forme antitetiche di Stato. Se dovessimo disegnare su un segmento i punti D (democrazia) e A (assolutismo), li dovremmo indicare agli estremi.
Qualcuno potrebbe far notare in effetti un po’ di cose: c’era molto poco di democratico in Russia; le stesse democrazie occidentali sviluppano in modo endemico una plasmazione occulta del consenso; i regimi totalitari si differenziavano come dittature di partito (nazisti e comunisti) e dittature dello stato (fascismo italiano); sul piano economico l’URSS e gli USA avevano la stessa struttura bancaria privata, come monopolio di emissione monetaria; Mussolini assecondò le richieste inglesi di non statalizzare la Banca Centrale, legando la lira sempre più alla sterlina (la quota Novanta, con cui la miopia del Regime fece apprezzare la lira nel cambio con la moneta inglese, svantaggiando le esportazioni), invece Hitler iniziò un processo di controllo politico della banca centrale e della emissione della moneta (vero motivo della impennata economica della Germania dopo il crollo internazionale del 1929); c’erano in campo due visioni della politica, una che faceva riferimento alla communitas, al popolo, alla sovranità, l’altra che era dichiaratamente internazionalista e che prevedeva la scomparsa degli stati sovrani, o attraverso il capitalismo o attraverso il socialismo.
Sono questioni complesse, su cui pian piano tornerò.
Ma ora una domanda: riprendendo il nostro segmento delle visioni politiche, in cui abbiamo indicato i punti D (democrazia) e A (assolutismo), come opposti, credete che le visioni antropologiche che danno vita alle due soluzioni politiche siano altrettanto opposte e distanti?
Credete che le visioni antropologiche che danno vita alle soluzioni del capitalismo e del comunismo, le quali durante la Guerra Fredda si sono contese il predominio internazionalista assoluto, siano poi così differenti?
Nella prossima puntata, vi mostrerò perle interessanti di antropologia politica.
Della guerra (parte seconda)
Concludevamo le nostre riflessioni con una domanda: riprendendo il nostro segmento delle visioni politiche, in cui abbiamo indicato i punti D (democrazia) e A (assolutismo), come opposti, credere che le visioni antropologiche che danno vita alle due soluzioni politiche siano altrettanto opposte e distanti?
Provate, per gioco serio, a costruire una scala valoriale da 1 a 10 delle interpretazioni possibili, circa la relazione naturale tra gli uomini. Al punto 10 collochiamo chi tra voi ritiene che l’uomo non sia un animale sociale, che sia anzi un lupo dell’altro uomo, che in assenza di una legge sovrana rivendichi per sé il diritto illimitato sulla vita e sulla proprietà altrui, che generi una guerra fratricida, che sia di fatto e di diritto nemico dell’altro uomo. In sintesi 10 = relazione di inimicizia.
Cosa metteremo al punto 1? L’esatto contrario. Chi tra voi ritiene che l’uomo sia per natura santo, buono, non corrotto da nulla, che riconosca nell’altro il prossimo in una relazione fraterna, che applichi, senza fatica alcuna e senza l’aiuto della Grazia, tutti i passi evangelici in cui Gesù parla di amare l’altro come se stessi. Se il primo era un lupo, ora quest’uomo è invece un dio.
Ora vi mostrerò che dalla prima tesi antropologica (l’uomo cattivo) derivi la giustificazione logica dell’assolutismo. Un’altra dimostrazione di come la politica non sia altro che la soluzione alla tesi antropologica. Poi vi mostrerò che per ottenere la democrazia non dobbiamo scendere a 1, nella nostra scala di visioni antropologiche: non abbiamo bisogno di un uomo santo per natura per avere la Democrazia liberale.
Vale a dire: se sul piano politico le dottrine (Democrazia e Assolutismo) sono opposte, non avviene così sul piano antropologico: prendete la vostra scala di visioni antropologiche. Vi sarà sufficiente scendere da 10 (gli uomini sono nemici) a 9 (gli uomini sono estranei e indifferenti l’uno verso l’altro), per passare dall’Assolutismo alla Democrazia.
Due visioni politiche così diverse dipendono da due visioni antropologiche molto prossime, che differiscono soltanto dal considerare la naturale relazione tra uomini o come «inimicizia» o come «estraneità».
La prima infatti appartiene a Hobbes, la seconda a Locke (il padre del liberalismo politico).
È logico immaginare che se la relazione naturale tra gli uomini è di inimicizia, le alternative saranno solo due: o questi uomini si uccidono a vicenda, o la loro ragione suggerirà una obbligazione reciproca, una alienazione di tutti i propri diritti, per farsi sudditi di un Potere assoluto, una rinuncia libera, cosciente e spontanea del diritto illimitato, pur di assicurarsi l’auto-conservazione, a vantaggio di un dio-mortale. Hobbes lo chiama Leviatano. La giustificazione del potere assoluto passa attraverso la tesi della comune inimicizia.
Se, invece, crediamo che gli uomini siano tra loro naturalmente estranei, possiamo immaginare che anche senza potere sovrano, questi possano vivere in pace: passiamo della certezza della guerra fratricida ad una condizione naturale di pace molto probabile. Gli uomini riconoscono per se stessi e in virtù della loro retta ragione il diritto alla vita, alla libertà, alla ricerca della felicità, alla proprietà privata legittimata dal lavoro. Sempre grazie alla loro ragione riconoscono anche agli altri, anche se estranei, gli stessi diritti. La guerra è una eccezione: qualora qualcuno non si lasci guidare dalla ragione da un bieco istinto, causerà la guerra contro l’altro. E l’altro sarà chiamato a difendersi e farsi giustizia da sé. Fino a quando questi uomini non coglieranno l’opportunità di affidare allo stato il diritto individuale di farsi giustizia. Lo stato liberale è nato come stato poliziotto. Cioè, con il fine esclusivo di tutelare i diritti naturali individuali e inalienabili e assicurare a tutti i cittadini (ricchi e poveri) la giustizia, in caso di torto.
Lo Stato liberale non nasce per re-distribuire ricchezza e realizzare la giustizia: nasce per tutelare diritti individuali. L’oscillazione tra politiche liberiste e politiche democratiche dipenderà dalla interpretazione di questi diritti e dal grado di prudenza egoistica che affidiamo all’uomo che accetta il contratto sociale.
Alcuni esempi: il nascituro ha diritto alla vita? Se muore, ha diritto alla sepoltura? Il mio diritto alla vita comprende anche il diritto al lavoro (per vivere) e il diritto alla macchina (per andare al lavoro, che mi assicura la vita) e il diritto ad essere curato se la vita è compromessa dalla malattia? Il diritto alla scuola pubblica, che si regge sulle tasse che pago, mi assicura il diritto alla libertà di istruzione, se pagando le tasse per la scuola pubblica, non posso poi permettermi quella privata che preferisco? Il diritto alla libertà comprende il diritto di rinunciare al diritto alla vita, con l’eutanasia? Il diritto alla libertà comprende anche la libertà sul diritto alla vita altrui, come nell’aborto?