
Sei madre. Sii martire!
pubblicato in
G.Miranda – G.Brambilla (edd.), La bioetica dalla prospettiva della donna, Editori Riuniti University Press, Roma, 2015, pp.177-194.
«Ah Gesù mio, non mi lamento,
ma che missione davvero tanto particolare mi hai affidato!».
Il Signore risponde: «La missione di madre, niente di più»[1].
Cosa vuol dire "maternità spirituale"? È una chiamata solo per le donne consacrate? Cos'ha di così speciale o di eroico dal punto di vista spirituale: in fondo, essere madre non è la cosa più naturale di questo mondo? Come possiamo comprendere l'immensità della maternità di Maria in tutti i suoi significati? Cosa vuol dire per un'anima essere chiamata ad essere madre di Cristo?
Non è possibile rispondere a questi interrogativi se non si parte dalla cellula originaria del discorso, ovvero la maternità. Il rischio è quello, infatti, di non riuscire a penetrare profondamente questa grande missione che Dio ha offerto a tanti santi e a tutti noi.
Putroppo, in ambito cattolico, una riflessione sulla genitorialità, e in particolar modo sulla maternità, partendo dall'ambito nel quale la si voglia sviluppare (psicologico, bioetico, sociologico, ecc.) si svolge, solitamente, a partire dalla considerazione del figlio: come è mutato il rapporto madre-figlio/a, lo spostamento in avanti dell'età della prima maternità, perchè si fanno pochi figli, se è bene per la famiglia che la donna lavori o meno, la differenziazione dei ruoli genitoriali per l'educazione umana integrale dei figli, ecc. In fondo, questo è comprensibile, vista la situazione attuale della relazione genitoriale, non immune dalla mentalità consumistica che permea come una pellicola trasparente la nostra società occidentale. Il figlio è un bene "prezioso" che si decide di far rientrare nella propria vita in un dato momento e non in un altro, che va ad incastrarsi all'interno di una vita che scorre e che corre, pianificata secondo un progetto che non prevede errori, anche perché non si avrebbe il tempo per risolverli. All'interno di un quadro come questo, si ritiene fuori di dubbio, ad esempio, l'evitamento della nascita di figli cromosomicamente difettosi e si accarezza con l'enhancement l'idea di un figlio che sia in grado di sostenere stress psico-fisici da prestazione sempre più elevati.
Resta il fatto, però, che la teologia non può prescindere da un'attenta riflessione sull' "essere madre"[2], che vada cioè senza paura a toccare le corde più profonde della maternità, senza giudicarne le contraddizioni. Solo così sarà possibile cogliere la vera essenza del cuore di una madre, dell'intensità di amore di cui è capace e a cui è chiamata per natura, con conseguenti risvolti sia di tipo spirituale sia di tipo pastorale. In senso negativo, infatti, dal punto di vista spirituale, ad esempio, un direttore[3] se non tiene conto della "trasformazione" che avviene in una donna quando diventa madre non potrà mai aiutarla e guidarla nel cammino verso la santità; così, da un altro punto di vista, se la pastorale famigliare non tiene conto, perchè non la conosce, della maternità in tutto ciò che essa significa, non potrà sostenere la coppia nella sua fragilità dopo la nascita di un figlio e proteggerla da tutti gli attacchi a cui è sottoposta[4]. Questo discorso può essere svolto anche in termini positivi. Infatti, la donna-madre può dare un contributo enorme per il suo potenziale non solo nell'ambito catechetico o missionario con i bambini, come spesso riduttivisticamente si crede, ma soprattutto nei confronti delle persone consacrate (sacerdoti e religiosi) anch'essi chiamati alla "genitorialità" in modo spirituale: la loro maternità "terrena" può sicuramente aiutarli a comprendere le esigenze di questo aspetto della loro vocazione. Nella relazione con il sacerdote, la donna non è solo figlia e sorella, ma anche una madre che lo aiuta a crescere spiritualmente[5]. Questo aspetto della maternità spirituale verso i sacerdoti, vissuto da tante sante donne consacrate o sposate (ad esempio, la ven.Luose-Marguerite Claret de la Touche e la ven.Concepción Cabrera de Armida) è stato particolarmente evidenziato dal Magistero recente[6]. Così il sacerdote può vivere bene la sua identità sacerdotale senza nessuna forma di paternalismo o clericalismo, con grande rispetto e stima verso la dignità della donna[7].
Così, dal canto suo, la donna-madre può amare il Signore di un amore profondissimo, proprio perchè abituata ad un'autenticità e ad una radicalità fatta di sacrificio e di abnegazione, e vivere pienamente la santità della vita cristiana.
In effetti, sia ha comunemente una visione molto semplicistica della maternità. Specialmente chi non ha figli ritiene che essere madre sia quanto di più fantastico ci possa essere al mondo, la più grande realizzazione di ogni donna. In realtà, sebbene non si voglia certo negare le gioie della maternità, è bene comprendere che questa "trasformazione" in mamme, a causa della ferita del peccato originale, non avviene putroppo senza dolore. È qui l'errore che più spesso si compie nella considerazione della maternità: dimenticare le conseguenze del disordine della natura umana presenti nell'essenza della maternità. A causa del peccato originale, infatti, il dolore permea tutta la vita della donna come madre e non solo, come già ricordava San Tommaso, la gestazione e il parto[8].
La maternità ha però al tempo stesso dell'incredibile. È come se, dando alla luce il figlio, anche la madre nascesse insieme a lui: da quel momento ella ha occhi, orecchie, cuore e mente che prima non aveva. Questo dato, questa "trasformazione", come ho voluto chiamarla finora, si ripercuote sulla quotidianità per cui la donna-madre è in grado di vedere, sentire, pensare cose relativamente al proprio figlio che nessuno, nemmeno il padre del bambino è in grado di cogliere. È come se Dio avesse dato "in dotazione" alla donna dei sensi in più, oltre che un cuore e una mente del tutto particolari[9]. Ora, come si è detto, questo dato di natura è carico di sofferenza, tanto che essere madre è per tutte le donne una chiamata al martirio: «sulla terra la fecondità e il dolore sono uniti. Ogni modo di dare la vita è per la madre un dolore e un martirio. Il dare alla luce, l'allattamento, l'insegnamento, la costante sollecitudine, la dedizione: tutto è opera dell’amore, ma tutto è martirio. Essere madre è essere martire»[10]. Nessuna parola umana può esprimere adeguatamente il livello interiore e esteriore di fatica ed abnegazione a cui è chiamata la donna quando diventa madre e, al tempo stesso, la grandezza del privilegio – visto che di martirio si parla – offerto da Dio alla donna in quanto madre.
Ebbene, è proprio da questo che dobbiamo partire per comprendere e vivere pienamente la chiamata che Dio rivolge ad ogni anima alla "maternità spirituale", la quale è multiforme: è quella della madre che ha a cuore più di ogni altra cosa la conversione e la salvezza dell'anima del propri figli (si pensi a S.Monica), è quella che dona un amore e una dedizione appassionata verso tutte le anime e verso la loro salvezza (si pensi a Teresa di Lisieux e al suo "primo figlio", il criminale Pranzini), è quella che, nel cammino della perfezione spirituale, ci chiama sul modello di Maria a diventare madri di Cristo stesso (come spiega S.Luigi de Monfort e come si legge con grande intensità negli esercizi spirituali della ven. Conchita).
Pertanto, riflettere sulla maternità dal punto di vista teologico-spirituale, immersi nel "girotondo dei santi" vuole essere un punto di partenza per comprendere il modo in cui il cristiano è chiamato ad amare Cristo. Il mio lavoro si propone, non certo di esaurire l'argormento, ma di ripercorrere alcuni testi spirituali "al femminile" – prendendo come punto di riferimento il testo della ven.Conchita e mettendolo in relazione in particolar modo con s.Teresa di Lisieux e con s.Caterina senza trascurare la spiritualità mariana di s.Luigi Maria de Monfort e in riferimento alla "Lettera ai fedeli" di s.Francesco d.Assisi –, di particolare importanza e attualità, come apporto alla riflessione teologica sulla maternità; il tutto svolto con penna di teologa e cuore di mamma.
Maternità: fecondità, amore, servizio e martirio
«Come Dio ha creato alcuni per essere martiri o dottori o sacerdoti, così ha creato lei per essere madre, e tutte le sue preoccupazioni, tutti i suoi sforzi devono essere finalizzati a questo, ad essere madre, con tutto ciò che questa divina parola racchiude. In questi giorni imparerà, meglio di quanto già sappia farlo, ad essere madre»[11]. Queste sono le parole di Mons. Luis M. Martínez, vescovo ausiliare di Morelia, in Messico, e direttore spirituale di Conchita dal 1925 al 1937, durante gli esercizi spirituali raccolti nel testo "Essere madre". In effetti, essere madre, a differenza di quanto si ritiene solitamente, è soprattutto qualcosa che si apprende, qualcosa che non deriva solo dal fatto di essere donna o dall’essere stata figlia. In realtà con il concepimento del figlio, si concepisce anche la madre, e sarà proprio il figlio ad insegnarle con la sua vita il significato profondo di essere madre[12].
Da qui deriva l’importanza della maternità naturale come metafora della vita spirituale. Una metafora che si ispira all’amore più profondo e vincolante che può esistere tra gli esseri umani, nella relazione più dolorosa e gioiosa della vita quotidiana; nella meravigliosa avventura di generare, sostenere, educare e liberare un proprio simile tanto diverso.
Il testo di questi esercizi spirituali procede giorno dopo giorno soffermandosi sulle più importanti caratteristiche dell'essere madre: fertilità, amore, servizio, martirio. Partiamo dal primo aspetto. Come scrive il Monfort: «Dio Padre ha comunicato a Maria la sua fecondità, per quanto ne fosse capace una semplice creatura, per darle così il potere di generare il suo Figlio e tutte le membra del suo Corpo Mistico»[13]. Si tratta di una fertilità che non ha limiti, e questo lo si può comprendere certamente da un punto di vista biologico, ma soprattutto dal punto di vista spirituale. Infatti, se la fertilità “fisica” ha un inizio e una fine, «la vita a Gesù bisogna darla sempre, in ogni istante, perché Egli nasce costantemente, non cessa mai di nascere. Per questo la Scrittura e la Chiesa lo chiamano Oriens, colui che nasce.».[14] Leggiamo dal testo[15]:
Lo Spirito Santo trasmette all'anima la divina fecondità del Padre, l’unico che dà la vita a Gesù. Come lo Spirito Santo coprì con la sua ombra Maria nel il mistero dell'Incarnazione, così, fatte le debite proporzioni, lo Spirito Santo copre con la sua ombra l'anima fortunata nella quale incarna misticamente Gesù. Ecco perché, per dare la vita a Gesù, l'anima deve ricevere lo Spirito Santo, aprirsi pienamente al suo influsso fecondo, lasciarsi muovere pienamente da Lui. E dato che l'anima deve cercare costantemente di dare la vita a Gesù, costantemente deve vivere in un abbraccio d’amore con lo Spirito Santo, aperta alle sue grazie, docile alle sue mozioni (..) Nell'incarnazione mistica, lo Spirito Santo possiede pienamente e costantemente l'anima. Il dovere di questa è di lasciarsi possedere dallo Spirito Santo, lasciarsi riempire da Lui, lasciarsi muovere da Lui. Così fecondata dallo Spirito Santo, l'anima dà la vita a Gesù. Chi può spiegare questa ineffabile operazione? È necessario unirsi intimamente a Gesù, fondersi con Lui nel mistero di questa unione, con un amore simile a quello del Padre Celeste, cioè: con un amore purissimo, ardente, tenerissimo, disinteressato, generoso. Amando con lo Spirito Santo, l'anima si dà, si abbandona senza riserve a Gesù e, donandosi, dà la vita al Figlio adorato. Questa ineffabile relazione con Gesù racchiude in sé tre cose: unione-amore-donazione.
La seconda caratteristica della madre è l'amore. Relativamente a questo aspetto, mi sembra importante segnalare come la maternità fisica e quella spirituale siano messe l'una accanto all'altra e che l'una, quella spirituale, non sminuisce l'altra, quella "terrena", ma la completa e trae da essa la sua più profonda radice. L'amore materno, per essere autentico deve avere queste qualità[16]:
È disinteressato. Una madre terrena dimentica totalmente sé stessa per non pensare ad altro che al proprio figlio, per non vivere che per lui, per donarsi e sacrificarsi per lui costantemente. Per una madre spirituale è necessario superare di gran lunga il disinteresse delle madri naturali; per lei non c'è altro che Gesù, in tutto.
È generoso. La madre della terra dà tutto per il figlio. Il Padre Celeste dà tutto ciò che Egli è: ed è infinito, dà tutto ciò che ha: e Lui ha tutto. La madre spirituale deve dare tutto, e darsi tutta a Gesù: deve essere una donazione vivente.
È abnegazione, è desiderio di sacrificarsi per il figlio, poiché in questo sacrificio trova gioia e felicità. Ha una speciale sfumatura: si ama il figlio come cosa propria, come qualcosa di se stessa. Tuttavia, ma come lei ha fatto notare, la madre non ama ciò che a lei appartiene, ma lo dimentica e lo sacrifica, anche se ama il figlio come qualcosa di proprio, identificandolo con se stessa. Mistero d’amore! Mistero che rivela quella sostituzione dell'amante con l'amato, che si realizza nell'amore. Il figlio è come la proiezione della madre, e questa, che non si preoccupa di sé stessa, si strugge per quella proiezione adorata.
Le meditazioni del terzo giorno riguardano un'altra qualità fondamentale di una madre, cioè il servizio. Nel trattare questo aspetto, si toccano alcuni tratti, a mio giudizio, tra i più commoventi e, in un certo senso, sconvolgenti, dell'intero testo: è Gesù, il Figlio, nel suo desiderio di essere amato e consolato da un cuore di madre.
Le attenzioni che una madre rivolge a un figlio sono, innanzitutto, un servizio intimo, del cuore, di tenerezza. Il figlio si fida dell'amore della madre come di nessun altro amore. Sa che tutti gli affetti possono venir meno, ma che non gli mancherà mai la tenerezza materna; è sicuro di lei: sa che in quel cuore può riversare liberamente tutto ciò che è nel suo: gioia o dolore, amore o amarezza, poiché con il cuore di sua madre non deve misurare le effusioni della sua anima, né limitare le sue intimità. Sa che in quel cuore troverà sempre ciò di cui ha bisogno: consolazione, tenerezza, intimità profonda e fiduciosa. Dove trovare un cuore come quello di una madre, così sicuro che non verrà mai meno; così nostro da poterne disporre senza riserva; così grande da contenere tutto il nostro amore, tutte le nostre pene e tutte le nostre gioie; così simile al nostro da poterci comprendere meravigliosamente; così puro da poterci abbandonare liberamente alle sue carezze; e così forte, generoso, e delicato, poiché è il riflesso della tenerezza del Padre Celeste?
Credo che il testo in questi passaggi raggiunga una profondità incredibile. Dà al lettore la possibilità di meditare su alcuni celebri passi del Vangelo non solo con una chiave di lettura in più, ma, soprattutto per una donna-madre, donando il punto di partenza per viverlo e realizzarlo con la grazia di Dio: amare Cristo con la stessa dolcezza, con la stessa dedizione, con le stesse cure che si hanno verso i propri figli, e, direi, specialmente per quelli più piccoli, verso i quali una madre rivolge accudimento, prevenendo e interpretando ogni loro bisogno. In fondo, non è anche questo un modo per acquietare la "sete" di Cristo, di cui parlano i Vangeli?[17] Leggiamo dal testo[18]:
Che la sua vita sia una donazione materna, piena, completa, interminabile.
Gli dia le sue carezze, i suoi baci, le sue braccia, il suo grembo, il suo sangue, la sua vita, il suo cuore.
Gli dia tutto quello che di cui Lui ha bisogno, quello che Lui le chiede, quello che Lui desidera. Indovini il Suo pensiero e le Sue segrete aspirazioni con l’intuizione di una madre: prima che lo chieda gli dia quello che prevede che Lui desidera. Se vedesse come piace a Gesù questa delicatezza!
Comprenda i Suoi gusti per soddisfarli, le Sue intime aspirazioni per realizzarle senza che Lui debba chiedere ciò che desidera.
Gli dia riposo quando è affaticato; gli dia consolazione quando soffre misticamente; gli dia gioia quando vuole gioire, silenzio quando vuole riposare, e conversazione quando vuole conversare.
Gli dia tutto con la tenerezza e la delicatezza di madre; creda che più che a ciò che gli dà, Egli fa attenzione al modo in cui glielo dà; perché in materia d’amore, forse, ha più importanza il modo che la sostanza.
Gli dia tutto in modo materno.
Il quarto aspetto della maternità, trattato nelle meditazioni del quarto giorno, è il martirio: una parola quanto mai di scandalo ai nostri tempi, ma, a mio giudizio, assolutamente corrispondente al binomio gioia-dolore che sperimenta ogni donna nella sua maternità e il testo ne spiega il motivo[19].
Per essere madre è necessario essere martire. E come nelle proporzioni, affinché la relazione rimanga inalterata, è indispensabile che gli estremi crescano proporzionalmente, così in questa divina proporzione amore-dolore, che è la formula della fecondità e, quindi, della maternità, è necessario che l’amore e il dolore crescano a misura che la maternità diviene più alta e perfetta. (..)
Quanto più ardente è l’amore e più terribile il dolore, più abbondante e perfetta è la vita che si dona. Non metta limiti al suo amore e ai suoi martìri materni, affinché la sua maternità sia ogni giorno più perfetta.
Dare la vita al figlio carnale, e ancor più, come si dirà, nella maternità spirituale, costa molto. Ma questo dolore è generante e al tempo stesso purificante, essendo unito intimamente alla gloria di Dio.
Dare la vita! Questo, comunque avvenga, costa; ma non ha importanza soffrire questo binomio misterioso, quest’amore-dolore che feconda con il suo martirio, perché ambedue producono martirio, ma martirio che dà la vita: martirio che uccidendo glorifica Dio.
Oh mio amatissimo Gesù! Non metterò limiti all'amore e ai martìri materni, perché ho visto, ho compreso, ho sentito, che quanto più ardente è l'amore e più terribile il dolore, più abbondante e perfetta è la vita che si dona[20].
Se l'amore è autentico, non può sottrarsi al dolore, sebbene, come il martirio, oggi questo aspetto sia per lo più incomprensibile, visto che si tende a equiparare e quindi a limitare l'amore al solo sentimento. «La verità è che gioia e dolore nascono simultaneamente da questa divina realtà che, se spiega tutto, è però inspiegabile: l'Amore»[21].
Maternità spirituale
Come accennato riguardo alla maternità “terrena”, anche nella maternità spirituale gioia e dolore sono un unicum inscindibile, riflesso della gioia divina del Padre e riflesso del Calvario[22]. Comprendiamo, allora, che maternità spirituale è innanzitutto “partecipazione”: essere madre nasconde un triplice mistero, trinitario, mariologico ed ecclesiologico, che coinvolge tutti i battezzati, una vera partecipazione della fecondità del Padre, di possesso dello Spirito Santo, di incarnazione di Gesù.
Nel testo di Conchita, il suo direttore spirituale, mons. Martinez, mette in luce il fatto che la diretta conseguenza di essere madre di Gesù è quella di essere madre delle anime, elemento comune della spiritualità di altre mistiche. Si pensi a s.Caterina da Siena, a s.Teresa d'Avila e a s.Teresa di Lisieux. Usando la simbologia di Teresa di Lisieux, del cuore come una lira a quattro corde, ogni donna ha una corda di sposa, una di madre, una di figlia e una di sorella. Poi, come ognuna di noi è diversa, e unica e personale è la chiamata di Dio, nella santità ci può essere un aspetto prevalente. Per esempio in Teresa di Lisieux come in Giovanni della Croce, la dominante è la corda sponsale. In Caterina da Siena come in Conchita, la dominante è la corda materna. In ogni caso, qualunque sia il modo in cui "vibrano" tra di loro queste quattro corde, la carità – scrive s.Francesco nella "Lettera ai fedeli" – «rende ogni fedele veramente "madre di Gesù", identificandolo in un certo modo con Maria»[23]. Maternità spirituale è, dunque, legame profondo tra maternità verso Gesù e maternità verso le anime. Dal punto di vista teologico, questo si può capire meglio considerando l'unione intima tra Cristo Capo e le Membra del suo Corpo Mistico. Come Maria non può essere madre del Capo senza essere madre delle Membra[24], così la persona che vive nella carità non può essere madre delle anime senza essere in qualche modo madre di Cristo[25].
In rapporto a Pranzini, che lei definisce "il suo primo figlio"[26], Teresa diventa madre grazie alla fecondità redentrice del Sangue di Gesù. Leggiamo dalla sua poesia[27]:
[Gesù,] Ricordati che la tua rugiada feconda
Verginizzando le corolle dei fiori
Li ha resi capaci sin da quaggiù
Di partorirti un gran numero di cuori
Sono vergine, o Gesù! Tuttavia che mistero!
Unendomi a te di anime son madre.
Dunque, se la maternità mistica delle anime è sempre maternità di Gesù, l'anima che è madre deve dare Gesù alle anime, formarlo in esse. Infatti, scrive Conchita[28]:
Gesù è diffusivo, perché è la Bontà infinita, è una luce che si diffonde, un profumo che si spande, un calore che si irradia. Gesù non può essere custodito nell’intimità dell'anima, ma, cosa ammirabile, quanto più lo si dà, tanto più lo si possiede; quanto più si effonde fuori dall'anima, tanto più cresce in essa, e quanto più lo si custodisce, tanto più lo comunica alle anime. Per dare Gesù è sufficiente conoscerlo e amarlo; e quanto più lo si conosce e lo si ama, tanto più si sente l’urgenza di darlo alle anime. (..)
Dilati dunque il suo amore materno; lo diffonda nello spazio e nel tempo, comunicando Gesù e dandogli cuori che lo amino. Le madri dell'Antico Testamento desideravano avere molti figli con la speranza che da qualcuno di loro discendesse Gesù. Quanto più deve lei desiderare di avere figli innumerevoli secondo lo spirito, sapendo che ciascuno di loro misticamente è Gesù! Avere molti figli è amare Gesù con molti cuori, e amarlo in molti cuori.
Nel testo di Conchita, l'espressione più alta della maternità spirituale è espressa nell' "atto di amore esplosivo", che è il suo "sì" alla maternità spirituale[29]:
Oh mio amatissimo, adorato e incantevole Gesù! Sedotta da tante delicatezze del tuo Cuore di Figlio, vengo a dirti che accetto davanti al cielo e alla terra e ai mari e nel tempo e nell'eternità, davanti al Padre, a Te, Signore, e allo Spirito Santo, la maternità spirituale e mistica, in tutte le sue forme verso Te, mio Gesù adorato e verso le migliaia di figli che vorrai darmi.
Siano sacerdoti, uomini, donne, quello che Tu vorrai, solo quello che Tu vorrai, perché il tuo piacere sarà il mio piacere, e il tuo volere il mio volere. (..)
Ti amerò, ti amerò, ti amerò maternamente, con tutte le delicatezze dell'amore, con la fedeltà dell'amore autentico, con tutta la generosità e l’abnegazione dell'amore tenero, ardente, disinteressato e puro. (..)
Voglio servirti da cuore a cuore, con quel servizio intimo, tenero, santo come può essere solo da madre a Figlio; indovinare i tuoi desideri, anticipare le tue gioie, realizzare le tue aspirazioni, ricevere le tue confidenze; attendere i tuoi sfoghi, consolare le tue tristezze, piangere con Te e godere delle tue gioie.
Dimenticare me stessa! Questo ti chiedo oggi con tutta la mia anima.
Il significato di questo atto d'amore è lo stesso che ritroviamo alla fine del Trattato della Vera Devozione a Maria di san Luigi Maria di Montfort, ma è anche lo stesso dell' "Offerta all'Amore Misericordioso" in "Storia di un'anima" di santa Teresa di Lisieux, ovvero il "Totus Tuus", la risposta all'amore di Gesù con il dono totale di sè.
In Conchita, l'aspetto più caratteristico ed originale è la duplice esperienza del matrimonio sacramentale e del matrimonio spirituale, della maternità naturale e della maternità spirituale, senza nessuna opposizione ma nella più perfetta integrazione e armonia: una esperienza arricchisce l'altra.
Anche tra Conchita e mons. Martinez c'è una stupenda circolarità di ruoli. Lui è per Conchita "il figlio della luce", un eccezionale figlio affidato alla sua maternità spirituale. Al tempo stesso, lei è anche una vera figlia affidata alla sua paternità spirituale per il pieno ed ultimo sviluppo della sua santità.
Per capire meglio questa perfetta reciprocità di maternità e di paternità, bisogna fare riferimento a S.Caterina, la quale chiamava il beato Raimondo da Capua "padre e figlio in Cristo Gesù"[30]. Questa relazione spirituale realizza appieno l'uguaglianza e la reciprocità dell'uomo e della donna, annullando estremi come il paternalismo clericale e il maternalismo possessivo, lasciando che la complementarietà delle vocazioni realizzate attraverso la diversità sessuale risplenda in tutta la sua armonia. Mi sembra importante sottolineare, a proposito, che, la maternità spirituale di Conchita si realizzò specialmente verso i vescovi e sacerdoti al momento della grande persecuzione religiosa nel Messico.
Ma come può un sacerdote realizzare la maternità spirituale? Per comprendere questo aspetto dobbiamo concentrarci sulla dimensione del sacrificio, lo stesso che il sacerdote compie ad ogni S.Messa. Infatti,
la maternità spirituale è un riflesso della divina Paternità, e il Padre Celeste non 'risparmiò' il proprio Figlio, ma lo consegnò [al sacrificio] per tutti noi. Ogni madre in qualche modo deve sacrificare il proprio figlio, perché ogni madre deve fare del bene al figlio e sulla terra i beni maggiori nascono dal sacrificio. Ma, sebbene le altre madri non abbiano questo dovere, la madre mistica di Gesù avrebbe, come suprema missione, quella di sacrificare questo Figlio divino. Perché? Il maggiore e più eccellente atto di Gesù è il suo Sacrificio, quello che più glorificò il Padre, quello che più esaltò Gesù, quello che più fece bene agli uomini. Per questo fine il Verbo venne sulla terra. Come vorrebbe Gesù che ogni sacerdote fosse una madre e ogni madre un sacerdote!
Chieda che molti sacerdoti siamo madri! E ripeta incessantemente, con tutto l'amore del suo cuore di madre, le parole sacerdotali: «Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue»[31].
La maternità di Maria
Tra tutte le maternità, nessuna è tanto dolorosa e tanto terribile come l’essere madre di Gesù. Maria che è, in senso stretto, la Madre di Dio, è, per questo stesso fatto, la Regina dei martiri. Le anime che, per una grazia insigne di Dio, condividono misticamente quella maternità, condividono, per questo stesso fatto, il regale martirio. Ognuna delle tappe di quella maternità è un martirio: mai, come in questa mistica maternità, trovano migliore applicazione le parole divine: «Darai alla luce i tuoi figli con dolore». Ma le ultime tappe di questa mistica maternità sono le più dolorose, perché in esse, l'anima perfeziona ancora di più la propria maternità. Martirio è la preparazione a questa maternità, martirio è la sua gioiosa realizzazione, martirio le sue felici conseguenze: martirio dare, martirio ricevere, martirio accarezzare, martirio consolare, martirio aprire le braccia affinché il Figlio riposi; martirio offrire il grembo affinché dorma; ma, soprattutto, martirio incomprensibile è aprire il cuore affinché il Figlio vi versi l'oceano d’amore e di dolore che porta nel suo[32].
In riferimento alla maternità, è fondamentale la chiave mariana.
È molto bella la composizione teatrale "Fuga in Egitto" (PR 6), in cui, attraverso un dialogo tra Maria e Susanna, la madre di Dimas, il futuro “buon ladrone” del Vangelo, Teresa esprime ciò che ella aveva vissuto in rapporto al criminale Pranzini: una fiducia assoluta nella “Misericordia Infinita di Gesù” a cui affidò con cuore di madre la salvezza del figlio peccatore.
Il dialogo tra le due protagoniste culmina nelle parole che, alla fine, Maria rivolge a Susanna[33]:
Abbiate fiducia nella misericordia infinita del Buon Dio: è così grande da cancellare i più grandi crimini, quando trova un cuore di madre che ripone in essa tutta la sua fiducia. Gesù non desidera la morte del peccatore, ma che egli si converta e viva in eterno. Questo bambino, che senza sforzo ha guarito vostro figlio dalla lebbra, lo guarirà un giorno da una lebbra ben più pericolosa. Allora un semplice bagno non basterà più: occorrerà che Dimas sia lavato nel sangue del Redentore. Gesù morirà per dare la vita a Dimas ed egli entrerà nel Regno Celeste nello stesso giorno del Figlio di Dio.
Teresa scopre la pienezza dell'Amore Misericordioso nello stesso cuore di madre, che è il cuore di Maria, un cuore che non dispera mai della salvezza del figlio più misero, più peccatore.
Un aspetto cruciale nella riflessione sulla maternità di Maria è il tema del sacrificio. Nel testo di Conchita, mi sembra importante far notare che, mentre nelle meditazioni precedenti si parlava del sacrificio relativamente a ciò che una madre compie nei confronti del figlio, in relazione a Maria si parla dell'amore materno come quell'amore che sacrifica il Figlio. È bellissimo come san Luigi Maria di Montfort paragoni Maria ad Abramo nel sacrifico d'Isacco[34]:
[Il Figlio] ha glorificato la propria indipendenza e maestà nel dipendere da questa Vergine amabile (..) fino alla sua morte, alla quale ella dovette assistere, per non costituire con lei che un medesimo sacrificio e per esere immolato all'eterno Padre con il consenso di lei, come un tempo Isacco fu immolato alla volontà di Dio con il consenso di Abramo. È lei che lo ha allattato, nutrito, custodito, allevato e sacrificato per noi.
Come anche scrive Benedetto XV, Maria «abdicò ai propri diritti materni per la salvezza degli uomini»[35].
Questo tema è stato molto sviluppato da santa Caterina da Siena, chiamata non a caso "Dottore della Maternità". In una delle sue lettere[36], scrive a un suo figlio spirituale, fra Bartolomeo, circa l'atteggiamento di Maria accanto al Figlio crocifisso: l'oblazione della Madre che offre il Figlio, che è il vero amore di una madre. È molto interessante notare che, mentre l'iconografia del suo tempo rappresentava Maria sostenuta da Giovanni, Caterina insiste su Maria che, come è tipico di una donna-madre, è forte, magari non in senso fisico, perchè così vuole la nostra natura, ma solida, coraggiosa; sta in piedi e accetta il sacrificio del Figlio, superando con l'amore e con la fede l'istinto a conservare a tutti i costi la vita del figlio. Nella Lettera n.30 scrive:
Or è tanto moltiplicato l'odio e l'amore ne la Madre e nel Figliuolo, che 'l Figliuolo corre a la morte per lo grande amore che egli à di darci la vita. Tanta è la fame e 'l grande desiderio de la santa obedienzia del Padre, che elli à perduto l'amore proprio di sé e corre a la croce. Questo medesimo fa quella dolcissima e carissima Madre, che volontariamente perde l'amore del Figliuolo. Ché non tanto ch'ella faccia come madre, che 'l ritraga da la morte, ma ella si vuole fare scala e vuole ch'elli muoia. Ché non tanto ch'ella faccia come madre, che 'l ritraga da la morte, ma ella si vuole fare scala e vuole ch'elli muoia[37].
Come spiega mons. Martinez a Conchita, quando si ama si vuole il bene dell'altro e «il Padre, che ama infinitamente Gesù, lo ha sacrificato, proprio perché lo amava doveva fare il suo bene. E in un certo modo, il bene maggiore per Gesù è stato il suo sacrificio»[38]. Maria, coerentemente con questo amore sublime, si fa "scala" non per far scendere il Figlio dalla croce, ma piuttosto per aiutarlo a salire. In altre Lettere, Caterina mostrerà nuovamente questo amore oblativo di Maria anche verso i discepoli, quando non dà ascolto alla propria affettività e alla propria solitudine, ma accetta di separarsi da loro, affinché partano per annunciare il vangelo in tutto il mondo[39]; un vero e proprio richiamo alla tendenza possessiva – comprensibile ma limitante, e quindi disordinata, – di molte madri[40].
Ultimo aspetto, trattato proprio nel giorno della ricorrenza dell'Addolorata, è il mistero della solitudine di Maria, tanto condiviso da Conchita dopo la morte del marito[41]:
Dopo la solitudine di Maria, che cosa è avvenuto? È avvenuto che i suoi figli si moltiplicarono in ragione dei meriti divini del Figlio che acquistò loro le grazie. E se tu devi seguire i passi di Maria, imitandola sulla terra, in quale tappa ti trovi? Dopo aver bevuto l'amaro calice della solitudine, ti ho dato quel figlio della luce affinché ti aiutasse; e d’allora i tuoi figli si sono moltiplicati e continueranno a moltiplicarsi. Ma i figli costano, e quelli spirituali ancora di più. Quali sono state le sofferenze di Maria per acquistare grazie all'umanità in unione con Me? Ella con i suoi dolori cooperò alla nascita della mia Chiesa e tu, per le mie alte finalità, con i tuoi martìri devi provvedere all’elemento fecondante per lo sviluppo delle Opere della Croce che sono riparatrici».
«Ma come puoi paragonarmi a Maria, Gesù dell'anima?».
«Non ti paragono, perché Ella è l'unica, ma mi compiaccio del fatto che alcune anime, seguendo le sue tappe più o meno manifeste, la imitino e mi diano gloria».
Come Teresa, Conchita sperimenta la possibilità di partecipare realmente a tutta la vita di Maria e in particolar modo alla sua maternità. E nel suo atto di affidamento, scrive[42]:
Maria, Madre Addolorata e benedetta, Madre del Gesù dei miei palpiti e dei tuoi, con le tue mani benedette, immacolate e pure, presenta a Gesù come frutto dei miei esercizi e della sua delicatezza verso di me, queste volontà, questi propositi, questo appassionato desiderio di morire alla mia volontà e di fare, sorridendo, la Sua, anche se il cuore sanguina. Da sola nulla posso; ma con Te, Madre mia, che mi porterai per mano, che mi ricorderai le mie promesse, che conosci la mia incostanza, la mia debolezza e la mia tiepidezza, io potrò raggiungere la meta, e essere ciò che Gesù mi chiede; coronare sulla terra l’opera di Dio nella mia anima, senza tener conto, da questo giorno, della mia volontà, per fare la sua, per pura gratitudine e amore. Così sia.
[1] C.Cabrera de Armida, Essere Madre (esercizi spirituali 1927), Edizioni OCD, Roma, 2010, p.36.
[2] L'espressione richiama il testo degli esercizi spirituali della ven. Conception (Conchita) Cabrera de Armida, di cui si parlerà nel corso del contributo.
[3] Cfr. A.Tagliafico, Breve compendio di Teologia spirituale. Intelligenza credente dell'esperienza cristiana, Tau editrice, Todi, 2012, pp.43-66.
[4] Tra i vari testi che trattano i problemi degli sposi, segnalo quello di C.Rocchetta, Gesù medico degli sposi. La tenerezza che guarisce, EDB, Bologna, 2005.
[5] Cfr. F.M.Lethel, La Vergine Maria e i Santi nella formazione, vita e ministero dei sacerdoti, (dispense ad uso degli studenti), Roma, 2/1/2013.
[6] Si pensi alla Lettera di Giovanni Paolo II ai sacerdoti per il giovedì santo 1995, le catechesi di Benedetto XVI sulle sante e il documento della Congregazione per il Clero "Adorazione, riparazione, maternità spirituale per i sacerdoti" del 2007.
[7] Cfr. F.M.Lethel, op.cit, p.2.
[8] Cfr. S.Tommaso d'Aquino, S.Th. II-II, q.164, a.2.
[9] Questa differenza tra donne e uomini in termini conoscitivi si rivela sempre e comunque ad esempio sul dato conoscitivo. Su queste differenze: R.Lucas Lucas, Antropologia e problemi bioetici, San Paolo, Cinisello Balsamo.
[10] C.Cabrera de Armida, op.cit., p.24.
[11] C.Cabrera de Armida, op.cit., pp.25-26.
[12] Cfr. Ibidem, p.10.
[13] L.M.Grignion de Monfort, Trattato della Vera Devozione a Maria, Editrice Shalom, Camerata Picena, 1995, n.17
[14] C.Cabrera de Armida, op.cit., p.13-14.
[15] Ibidem, p.16.
[16] Ibidem, p.17.
[17] Cfr. Gv 4,7; Gv19,28; Mt 25,35-36.
[18] C.Cabrera de Armida, op.cit., p.21.
[19] Ibidem, p.26.
[20] Ibidem, p.27.
[21] Ibidem, p.51.
[22] Cfr. Ibidem, p.27.
[23] Cfr. Fonti Francescane, n.139.
[24] S.Luigi Maria G. De Monfort scrive: «Se Gesù Cristo, il Capo degli uomini, è nato in lei, anche i veri credenti, che sono membra di questo Capo, devono per conseguenza necessaria nascere in lei. Una stessa madre non mette al mondo la testa, o il capo, senza le membra, nè le membra senza la testa». L.M.Grignion de Monfort, op.cit., n.32.
[25] Cfr. T. di Lisieux, Manoscritto B, 2v.
[26] Cfr. T. di Lisieux, Manoscritto A, 46v.
[27] T. di Lisieux, Poesia, n.24.
[28] C.Cabrera de Armida, op.cit., p.34 (corsivo nel testo).
[29] Ibidem, pp.44-45.
[30] C.da Siena, Lettera, n.226.
[31] C.Cabrera de Armida, op.cit., pp.29-30 (corsivo mio).
[32] C.Cabrera de Armida, op.cit., p.25.
[33] T. di Lisieux, Pie Ricreazioni, n.6.
[34] L.M.Grignion de Monfort, op.cit., n.18.
[35] Benedetto XV, Inter sodalicia, 22/5/1918.
[36] Cfr. C.da Siena, Lettera, n.129.
[37] Cfr. C.da Siena, Lettera, n.30.
[38] C.Cabrera de Armida, op.cit., p.29.
[39] Cfr. C.da Siena, Lettera, n.117, n.118.
[40] In questo senso, Caterina fa riferimento di certo anche a sua madre. Su questo, molto bello il testo sulla vita di Caterina, sotto forma di romanzo, di L.de Wohl, La mia natura è il fuoco. Vita di Caterina da Siena, BUR, 2007.
[41] C.Cabrera de Armida, op.cit., p.37.
[42] Ibidem, p.48.