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Corrispondenza dalla Tebaide

Ancora 1

I monaci d’Oriente erano soliti rifugiarsi nel deserto, per liberare la città dell’attacco dei demoni. Dirottavano la battaglia su di loro, perché la città fosse risparmiata. Costituivano uno scudo che si frapponeva tra gli uomini e le donne del villaggio. Un ostacolo qui tenet, che frenava l’impeto satanico. Sapevano di dover costituire, in Pietro, questo ostacolo contro il figlio della perdizione, contro l’uomo che oserà proclamare la sua divinità contro lo stesso Creatore, sapevano di doverlo fare dentro il mondo, pur non appartenendo ad esso. Sapevano che sarebbero giunte molte ore: le ore del martirio, come quelle in cui un principe perdente avrebbe issato il Segno, le ore della conoscenza di Dio, come quelle dell’apostasia di generazioni perverse e corrotte, le ore della preghiera remota, come quelle dei campi aperti in cui la Madre avrebbe ricacciato orde di barbari dal mare e dalla terra di un oriente non più loro. Può darsi che videro le ore in cui le tenebre sarebbero tornate e nessuno le avrebbe ostacolate: forse videro le tenebre tornare e nessuno a combattere, come se la battaglia fosse finita o fosse stata una finzione per bambini; forse videro persino aperte le porte della Città.

 

Erano pochi, ma costituivano, agli occhi del diavolo, un avversario temibile. Erano saldi nella fede, erano provati con il fuoco, cingevano, come aveva insegnato loro san Paolo, l’armatura. E nel nome di Cristo vincevano. Esorcizzavano con la loro presenza legioni di demoni.

Sapevano che il regno del loro Signore non è di questo mondo, sapevano che il principe di questo mondo era il loro Nemico, sapevano che con quel Nemico non si dialoga. Lo sapevano sconfitto dal sangue dell’Agnello, ma ancora in grado di ferire e ruggire. Prima della fine. Sapevano che il tempo della fine era iniziato proprio dal Sacrificio espiatorio del Re, che lo Spirito Santo inviato dal Padre consolava quelli di Cristo e contemporaneamente giudicava le nazioni per non riconoscere e accogliere l’unico Salvatore.

 

Sapevano che la battaglia non si combatteva solo nelle coscienze. Non si fidavano della loro coscienza, ma misuravano la loro coscienza, la loro percezione del bene e del male con la Verità. La Verità era il criterio, non loro. Avevano deciso di servire Dio e sapevano che questo Dio non si dava nell’immanenza della loro esperienza individuale. Questo Dio non era il Dio della sola esperienza religiosa. Avevano imparato che anche il Nemico conosceva la spiritualità, si presentava come angelo di luce proprio in alcune religiosità. Avevano capito che alcune forme di spiritualità erano ostacolo e non veicolo per servire il Re.

 

Sapevano che dovevano pregare per combattere e combattere per vincere. Sapevano che alcuni li avrebbero accusati di vanagloria, di aver rotto il legame con la città, ma loro continuavano a servire la città, perché servivano Dio. Creavano in quei deserti monasteri, centri di ascolto e confronto, oasi di conforto e amicizia sincera.

 

E intanto continuavano a vegliare: vedevano il campo del mondo colorarsi dell’oro della regalità del Signore e la ruggine verdastra della malizia, campi divelti da aratri occulti e potenti, che si seccavano come sale incapace di salare e si tingevano della porpora della testimonianza.

Sentivano l’eco della pace. Eppure non era quella del Re.

Sentivano l’illusione della fratellanza. Eppure non era quella dei figli di Dio.

Sentivano serpeggiare parole ambigue di divinità. Eppure non erano quelle dello Spirito Santo.

Vedevano l’uomo adorare se stesso e poi negare la sua stessa identità.

 

Sono andato in uno di questi deserti. Il deserto della Tebaide. Il deserto di sant’Antonio Abate e di sant’Atanasio. Il deserto di un monaco e di un vescovo, il deserto

Da questo deserto, vi scriverò la mia corrispondenza…

ALESSANDRIA D'EGITTO

 

La città di Alessandria era grandiosa da secoli. I Tolomei avevano anticipato con maestria, logica, acutezza molti sovrani e Papi dell’età moderna. Avevano trasformato una regione dell’Impero di Alessandro Magno in un regno di cultura. Avevano sfidato Atene e la comunità ebraica aveva dato man forte. Filosofi ebrei come Filone, all’incirca contemporanei di Cristo, da questa città erano partiti come ambasciatori presso Roma, avevano commentato la Bibbia con categorie greche, avevano letto la loro Bibbia in greco, perché i Tolomei avevano favorito la traduzione della Bibbia dall’ebraico: La storiografia ricorda questo lavoro come la Bibbia dei LXX. La tradizione racconta, per la verità, di settantadue saggi. E la Tradizione ha sempre da insegnare: in fondo non c’è dottrina senza Tradizione.

 

Qui arrivai, quando quei deserti e quella gloria furono strappati al principe di questo mondo, il diavolo, dall’opera silenziosa ed eremitica di quelli che divennero i miei amici monaci. Loro che avevano conquistato già su questa terra, l’amicizia con Dio. Divennero i miei confidenti e i miei maestri. Ma più di ogni altra cosa, divennero i miei santi. Soldati di Cristo, difficili da trovare, difficili da imitare. Il mondo li giudicava come inutili, fuggitivi, perché – dicevano – non avevano capito il messaggio sociale del Vangelo, perché rifiutavano di credere che ogni religione è a suo modo vera, onora a suo modo l’unico Dio, perché non predicavano vuota tolleranza, ma guerra, sacrificio, abnegazione, perché vivevano Cristo, unica via, verità e vita. Vivevano, tra quelle sabbie, la verità divina del Vangelo, la verità divina della Chiesa di Cristo. Vivevano in quelle sabbie come il grano vive tra i rovi, il puro tra gli immondi, la Verità tra le tenebre, la perseveranza tra l’apostasia, il giudizio tra i peccati, l’unica vera fede tra idolatrie e religioni false.

Non dicevano nulla, nascosti al mondo. Ma la loro stessa presenza era giudizio per il mondo. E il mondo li odiava, perché le tenebre odiano la luce. Perché satana vuole il suo inferno e vuole che gli uomini lo seguano, nella sfida che ha lanciato a Dio. Una sfida sottile e scandalosa. Un’idea che gli uomini potevano essere indottrinati a seguire chi si oppone a Cristo, in nome della fratellanza e della libertà. Un’idea di convertire quelli di Cristo a false dottrine, facendoli rimanere, ingenui e peccatori, discepoli di Cristo. Non li avrebbe tratti via: li avrebbe lasciati permanere e non essere più, avrebbe dato loro l’emozione e l’esperienza di sentirsi cristiani, senza esserlo davvero, li avrebbe lasciati solo la parvenza, dentro l’illusione di Chiese nuove.

Ancora 2

Non trovai nessuno ad attendermi: i pagani non erano affatto minoranza e tra questi, i greci non erano ben visti dai nativi egizi. Spesso c’erano scontri. I Greci avevano la loro superiorità: una ragione retta, una coscienza in grado di distinguere sempre il bene dal male, l’idea che l’errore fosse frutto solo di ignoranza. Questi erano i figli di Socrate. Uno morto senza paura, in libertà, insieme ai suoi, innocente di un tribunale assurdo quanto democratico, eroe della giustizia della sacra patria. Non era fuggito dalla prigione, non aveva versato una lacrima, aveva conservato imperturbabilità saggia e perenne, non aveva risposto male al male, aveva preferito subire l’ingiustizia piuttosto che compierla. Quest’uomo avrebbe vinto i secoli della memoria, avrebbe sfidato la figura stessa di Gesù di fronte ai moderni.

O come sono benevoli i moderni! Sempre inclini ai miti: il mito di Gesù comunista, il mito di Gesù alieno, il mito di Gesù pio ebreo, il mito di Gesù anarchico e figlio dei fiori, il mito di Gesù-Buddha, perché – dicono – in fondo entrambi insegnano la liberazione dal mondo, il mito di Gesù-Socrate, perché entrambi hanno sfidato lo stato, l’ingiustizia, la morte.

Ma quanto credono l’essenziale? Quanti vogliono servire il Cristo Dio?

Ancora 3

ENOCH

 

Qualcosa avvenne anche in me. Come il peccato vive di peccato, la Grazia vive luoghi gelosi e intimi. O come è preziosa la vita colma di Sacramenti! Ed anche la mia anima respirava il profumo della Verità. La mia anima riconosceva la Bellezza di Dio, in loro. Così avvenne che capii. «Padre Enoch – dissi – il fallimento di Gesù vale la robusta e sterile solitudine di Socrate. Socrate era l’eroe delle proprie idee, della propria coerenza. Era immagine di sé. Di una città in cui abitava solo con se stesso. Non aveva amato nessuno. Aveva amato sé per mezzo della Patria, della giustizia, della morale, della dottrina. Per occhi umani Socrate moriva da eroe, insieme ai suoi, Gesù da fallito e maledetto, abbandonato da tutti. Tuttavia, Cristo, mentre veniva maledetto dai giudei e schernito dai romani, aveva pregato per i carnefici. La morte di Socrate era la vita della sua idea. L’umiltà di Cristo era dono di sé. La sua morte era la vita di molti». Non rispose. Come usano fare i monaci. Quando capiscono che la Grazia suggerisce qualcosa non interferiscono. Lasciano che la Grazia agisca secondo Sue diposizioni. Passarono ore, prima che mi chiamò. E sussurrò: «Quante volte diciamo di amare Dio? Eppure ci limitiamo ad amare il suo amore per noi. Lo crediamo Creatore, ma perché invidiamo l’onnipotenza. Lo chiamiamo Salvatore, ma onoriamo i salvati. Amiamo noi stessi, attraverso l’amore che diciamo di avere per Dio. Amiamo la fede secondo le nostre misure, amiamo le nostre paure e i nostri sogni di immortalità. Amiamo la nostra esperienza di Dio. Ma non Dio in sè». Non risposi. Quel Socrate senza volerlo mi aiutava. Era un monito alla creazione umana di dei o alla creazione umana di uomini-dei. «Padre Enoch – dissi con quella autorità benevola di chi confida un sentimento – io voglio seguire Cristo, non me stesso!». «Il Nemico lo sa». E tornò a pregare.  

 

Ricordo una cosa che un giorno l’abate Enoch mi disse: «Hai mai riflettuto sul «fallimento» di Gesù?». Mi lasciò due notti con quella domanda. Mangiai solo un po’ di miele. Loro facevano spesso così. E la forza della Grazia dava loro una incredibile capacità di dialogare con Dio durante tutta la notte. Le sentinelle della città usano darsi il cambio per assicurare una sorveglianza attenta. Con loro avveniva il contrario: più vegliavano e più amavano Dio. Più amavano Dio e più desideravano restare con lui. Più restavano con Dio, più vincevano la battaglia nel mondo. Non li ho mai visti perdersi nella mistica. Nessuna ascesi. Nessuna auto-elevazione spirituale. Mangiavano miele. Ma spaccavano le rocce dell’incredulità e spostavano le montagne del peccato con una autorità che era seconda solo alla potenza di rimettere i peccati. Cristo assolveva centinaia di anime, tramite loro.

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The Eagles (dalla colonna sonora di "The Lord of the Rings. The return of the King") - H. Shore ft. R. Fleming
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